di Hélène Bellenger
dal 7.12.19 al 11.1.20
Perché il blu è più fotogenico del bianco? È la domanda che si pone il fotografo inglese William Fox Talbot nel suo libro “La matita della natura”, pubblicato nel 1844.
In una conferenza al Club des Amis du Septieme Art, l’11 aprile 1924, Jean Epstein definì “l’elemento fotogenico” come la proprietà della cosa filmata di apparire più bella nel cinema sotto lo sguardo dell’obiettivo. La fotogenia vive, quindi, nella differenza tra ciò che l’occhio umano può percepire e ciò che la macchina fotografica può catturare, tra tecnica e poesia. Il successo di questo nuovo concetto, tuttavia, contribuisce a “esagerare” l’uso nella stampa mainstream, sia che si tratti di farne un criterio distintivo per la qualità del film, sia che serva più banalmente come elemento distintivo della bellezza delle attrici. La fotogenesi diventa così, gradualmente, un criterio di bellezza a sé stante.
Interessata da questa dicotomia schermo/realtà, che si riflette nel concetto emergente di fotogenia all’inizio del XX secolo, Hélène Bellenger ha raccolto con cura immagini e articoli di riviste cinematografiche dagli anni Venti agli anni Cinquanta. Interessata ai motivi femminili standardizzati e decorativi – raccolti compulsivamente nel corso del tempo – l’artista francese ha anche scoperto, nel corso della sua ricerca, strane ricette di trucco dall’aspetto warholiano. Proseguendo questa indagine, Hélène entra in contatto con un’industria cosmetica adattata alla tecnologia dell’immagine di quegli anni in cui le pellicole erano ancora monocromatiche e ortocromatiche. Per evidenziare i contrasti e l’espressività dei volti, il trucco veniva accentuato fino al grottesco: blu reale su palpebre e labbra, un tocco di giallo sofferente sul naso, zigomi verdi in polvere. Attraverso un processo di colorazione digitale, fedele a quelle particolari ricette di trucco, Hélène ha riportato in superficie i colori invisibili agli schermi dell’epoca. I ritratti che osserviamo sembrano maschere clownesche e inquietanti, che ci interrogano sulla confusione tra bellezza e fotogenesi, tra schermo e realtà.
Intriso di temi di attualità, in particolare riguardo al condizionamento di genere all’interno della nostra cultura dell’immagine, questo progetto – sviluppato nelle collezioni della Cinematheque de Toulouse con il Residence 1+2 – mira a decostruire l’oggettivazione delle donne sullo schermo, mettendo così in evidenza la realizzazione di determinati canoni di bellezza massificati. Ciò che viene quindi messo in discussione in questo lavoro è l’intero sistema della cultura visiva occidentale, in cui il cinema ha contribuito enormemente alla normalizzazione, frammentazione e standardizzazione della donna.
Bio
Nata nel 1989, Hélène Bellenger è un’artista visiva francese che vive e lavora a Marsiglia. Dopo essersi laureata in giurisprudenza e storia dell’arte, ha deciso di specializzarsi in fotografia e arte contemporanea all’Università della Sorbona. Nel 2016 si laurea alla Scuola Nazionale Francese di Fotografia di Arles. Attraverso il vocabolario della raccolta di immagini e della riappropriazione, le diverse opere dell’artista emergente tendono a mettere in discussione le radici della sua cultura visiva occidentale, per sfidare la “re-” della rappresentazione.
www.helenebellenger.com