in collaborazione con
Film Festival della Lessinia e Fonderia 20.9
vi invita
Sabato 31 Marzo
all’ inaugurazione della mostra
alle 18 talk introduttiva con i curatori Marina Caneve e Gianpaolo Arena
Un eterno presente
Il 1963 è un anno cruciale per una lunga serie di avvenimenti geopolitici internazionali. A Dallas muore assassinato John Fitzgerald Kennedy, il Presidente che stava cercando di cambiare la storia degli Stati Uniti d’America e quella dell’Occidente. Martin Luther King, in occasione della marcia per il lavoro e la libertà, pronuncia il celebre discorso al Lincoln Memorial di Washington. In Vietnam, i monaci buddisti si danno fuoco per protestare contro i tragici avvenimenti di una guerra che sta diventando sempre più drammatica. Il 4 ottobre l’Uragano Flora si abbatte su Cuba e Hispaniola, uccidendo quasi 7000 persone. In Italia, il miracolo economico e la cultura pop hanno trasformato la vita dei cittadini. Francesco Rosi riceve il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia per “Le mani sulla città”. Il lungometraggio è uno straordinario atto d’accusa sulle collisioni esistenti tra diversi organi dello Stato e speculazione edilizia, in un paese afflitto da una forma di continua e progressiva “metastasi cementizia”. Il 9 Ottobre 1963 alle 22h39 il Monte Toc frana nel bacino artificiale della diga del Vajont.
“Abitiamo un mondo in cui il futuro promette infinite possibilità e il passato è irrimediabilmente dietro di noi. La freccia del tempo… è lo strumento della creatività in cui la vita può essere compresa.”
Peter Coveney e Roger Highfield
Nomen Omen è una locuzione latina che, tradotta letteralmente, significa “il nome è un presagio” e deriva dalla credenza dei Romani secondo cui nel nome era indicato il destino delle persone e delle cose. La montagna su cui è ancorata la diga del Vajont, tuttora integra e stabile, porta il nome di Monte Toc, ovvero monte marcio, putrido, franoso. Lo stesso nome del Vajont ha oggi acquisito un’accezione e un valore catastrofici nella coscienza collettiva. Vajont, in origine, era la valle attraversata dall’omonimo torrente, prima che la catastrofe innescata in potenza con trent’anni di anticipo, poi manifestatasi violentemente la notte del 9 ottobre 1963, rendesse tristemente noto questo luogo. “Il Grande Vajont” ha invece nel suo nome il manifesto programmatico dell’ambizioso progetto che avrebbe dovuto sfruttare le riserve di acqua delle Dolomiti per servirsi dell’energia gravitazionale sotto forma di potenza idrica e rifornire così di elettricità Venezia e il Triveneto. Nel 1940 la SADE, Società Adriatica di Elettricità, diventata poi Enel, avanza una richiesta di autorizzazione per la costruzione di una grande diga, all’epoca la più alta del mondo, che è poi diventata lo scenario e il monumento della gestione del potere e della vergogna della politica. La diga ha retto perfettamente alla violenza del crollo della montagna nell’invaso del Vajont. Dove l’onda distruttiva è passata, nulla è rimasto integro.
I morti accertati sono 1917. Dal 1963 a oggi, sono passati molti anni, si sono svolti numerosi processi e sono state avviate ricostruzioni urbanistiche controverse, ma la ferita è dolente. Nella nostra opinione è determinante continuare a parlarne ancora nel 2016, in un momento storico in cui lo sfruttamento energetico del territorio e la sua salvaguardia non sempre sono attuati con gli stessi strumenti. Le analogie con il presente sono molto evidenti e si ripetono anche negli eterni conflitti di interessi, nella corruzione degli apparati di controllo, nella privatizzazione dei profitti e nella socializzazione delle perdite. Il nefasto caso del Vajont appare a tutti gli effetti come una delle vicende cardine del ‘900 italiano, un buco nero di senso e di significato in cui è ancora facile cadere. Un simbolo dell’Italia contemporanea.
In questo contesto, il progetto CALAMITA/À nasce dall’urgenza di investigare il territorio in cui l’evento catastrofico ha alterato ogni equilibrio, spezzato la corretta e ordinata linea della scansione temporale e frammentato i luoghi, le storie e le vite. Il presente a volte è indifferente e disattento, malgrado questo ci teniamo in vita meditando sul cumulo delle tradizioni e dei ricordi che conserviamo nel cuore. In molti hanno cercato con fatica di dare una forma allo scorrere del tempo. In un certo modo, è come se l’onda avesse trascinato via con sé il passato e il futuro di una comunità di persone. Il tempo si è cristallizzato in un eterno presente.
Il progetto CALAMITA/À agisce sul territorio in maniera interdisciplinare esplorando attraverso l’interazione tra i lavori degli autori le molteplici sfaccettature di un unica vicenda, emblematica e rappresentativa del ‘900 italiano.
CALAMITA/À è una piattaforma di ricerca indipendente sul contemporaneo che nasce da una riflessione sui territori del Vajont e unisce pratiche artistiche e scientifiche per indagare i fenomeni di trasformazione del territorio in seguito ad un evento catastrofico.
Il progetto è formato da una rete di autori che decidono di contribuire realizzando delle opere site specific e da numerosi collaboratori che supportano il progetto.
I curatori si occupano di promuovere il progetto e coordinarlo.
A cura di Gianpaolo Arena e Marina Caneve
PROIEZIONE
Fotografia: Andrea Alessio, Gianpaolo Arena, Sergio Camplone, Marina Caneve, Céline Clanet, Scott Connarroe, François Deladerriere, Marco Lachi, Michela Palermo, Gabriele Rossi, Petra Stavast, Jan Stradtmann, Cyrille Weiner & Giaime Meloni, WOM – Max Rommel & Marissa Morelli, Zuijderwijk/Vergouwe
Musica: Valerio Cosi, Enrico Coniglio, Gianluca Favaron & Stefano Gentile, Enrico Malatesta
Video: Mauro Sambo, Tommaso Perfetti, WOM – Max Rommel & Marissa Morelli
Urbanistica: Latitude Platform
Geologia: Emiliano Oddone
Antropologia: Olivia Casagrande
Poesia: Giovanna Frene
Archivi: Carlo Pradella, SACAIM, Giuseppe Francesco Bernardi