BY HER OWN MOVEMENT
Quattro domande a Sonja Thomsen
A cura di Angelica Rivetti
Angelica Rivetti: sfogliando il tuo libro “You will find it where it is: a reader”, si rima- ne subito colpiti dalle forti analogie tra le forme derivanti dalla curva matematica di Agnesi – che per te diventa un punto di origine quasi ossessivo del processo artistico che ne deriva – e quelle dell’oculo e del grembo materno. In questo c’è anche un aspetto estremamente interessante: l’errata traduzione della “Curva di Agnesi” in “Strega di Agnesi” che rimanda agli stereotipi con cui molte donne sono state identificate per secoli come streghe (figure negative e pericolose) e quindi stigmatizzate e perseguitate perché diverse, secondo convenzioni morali, sociali ed estetiche basa- te su un pensiero esclusivamente maschile. Puoi dirci di più su come il tuo processo artistico si inserisce tra tutti questi elementi?
Sonja Thomsen: Buckminster Fuller (il nipote di Margaret Fuller) usa il termine geometria del pensiero. Ho sempre amato questo termine: le idee costruiscono la forma. La nostra mente viaggia nel tempo e può saltare dal pensiero astratto a quello analitico. Almeno la mia lo fa spesso. Come giovane donna che studiava biologia a scuola, sono stata abituata a pensare ad un sistema complesso attraverso un semplice diagramma. Penso che questa sia una delle ragioni per cui questo modello matematico – una curva a campana – sia diventato un referente del corpo – un occhio e un grembo. Nel corso della mia carriera artistica ho sperimentato le micro aggressioni della misoginia – come studentessa, come accademica e come madre artista. Quindi c’è la mia riflessione personale trattenuta in questa forma. Come si sperimenta la conoscenza? Cosa impariamo da ciò che è visto, ciò che è visibile, attraverso l’occhio? Quali sono le molteplicità della conoscenza nel nostro corpo, nel mio corpo? Nel mio grembo? Penso che qui cominci a intersecarsi l’idea di Cixous delle donne che scrivono di loro stesse. Inoltre volevo menzionare riguarda la forma della curva che interpreto nella scultura. Il cerchio diventa un’elica – quest’elica si collega all’idea di andare avanti e indietro nel tempo – come io racconto nel mio libro attraverso le diverse generazioni di don- ne. Il tempo è visto come una spirale piuttosto che come qualcosa di lineare. Ma l’elica si collega anche alla narrazione intorno alla ricerca genetica negli ultimi due decenni. Questa creazione di conoscenza da parte della comunità scientifica ha segnato gli anni in cui ero una studentessa di scienze alla fine del 20° secolo e in quel periodo la mappatura del genoma era considerata una scienza all’avanguardia. Inoltre, nel libro è presente anche una conversazione privata sulla perdita. Ho perso il mio unico fratello, la mia persona, improvvisamente nel 2015. Era un uomo di 27 anni apparentemente sano ma affetto da una malattia cardiaca genetica sconosciuta. La forma dell’elica quindi si collega anche a questa narrazione più intima e famigliare.
A.R.: Che ruolo hanno invece le figure geometriche e scultoree (specialmente quelle triangolari) nella tua ricerca artistica e nella tua esperienza personale, e come ti hanno influenzato in questo senso le opere delle artiste intellettuali Lucia Moholy e Maria Nordman?
S.T.: Beh, i triangoli riguardano le relazioni. La luce triangola quando si rifrange. I triangoli hanno una molteplicità di forme possibili, sono in grado di creare forme complesse e stabili. Anche le donne possiedono questa molteplicità. Sia la pratica artistica di Lucia Moholy che quella di Maria Nordman incombono nella mia immaginazione e nel mio lavoro, in gran parte a causa delle loro eredità ancora da scrivere. In occasione del recente anniversario per i 100 anni del Bauhaus, Lucia Moholy ha avuto più attenzione da parte di docenti e studenti intorno alla sua opera. Il lavoro di Maria Nordman, che oggi ha 78 anni e vive nella California del Sud, dovrebbe essere oggetto di una retrospettiva e di un maggiore approfondimento – recentemente presso la Maria Goodman Gallery è stata ospitata una sua mostra davvero molto bella -.
La stratificazione del linguaggio di Maria Nordman ad esempio è una cosa bellissima da sperimentare attraverso i suoi libri – a metà dell’editing finale del mio libro ho potuto visionare alcune delle sue pubblicazioni e sono stata commossa dalla serendipità del nostro uso della pergamena e della stratificazione delle forme -.
Entrambe queste donne e il loro lavoro hanno un rapporto diretto con l’esperienza della luce. Entrambe hanno scritto loro stesse, usando il proprio linguaggio per creare nuovi spazi, ciò ha influenzato molto il mio lavoro.
In questa mostra, infatti, sono esposte diverse mie nuove sculture. La serie di sculture/oggetto, intitolata “weight of possibility”, è un esperimento di equilibrio, leggerezza e linea. Respirano e si muovono nello spazio. Per me è importante che siano installate in prossimità di una superficie che ne catturi l’ombra.
A.R.: La luce – intesa sia come riflesso sulle superfici che come vera e propria materia in grado di modellare forme geometriche – è l’altra grande protagonista del tuo racconto e della mostra. In questo senso, entra in gioco anche Wolfgang Goethe e la sua “Teoria dei colori” – legata agli aspetti psicologici che ruotano attorno alla sfera cromatica – che dici di aver conosciuto grazie alla scrittrice Margaret Fuller. Puoi dirci qualcosa di più sull’aspetto installativo, legato proprio all’importanza della modulazione della luce e dei riflessi cromatici all’interno degli spazi espositivi della Fonderia 20.9?
S.T.: La luce è il mio materiale. Come fotografi ci viene insegnato a scolpire con la luce. La luce è la chiave. La luce permette di vedere, vedere è un modo di sapere. La luce è il colore.
La visione umana e la percezione dei colori è affascinante. Il disaccordo sulla percezione dei colori tra Newton e Goethe è la chiave delle mie esplorazioni sulla conoscenza, sulla falsa dicotomia della scienza oggettiva e sulla soggettività della poesia. Newton ha chiamato l’arcobaleno – ROYGBIV – a causa della sua soggettività e del suo interesse per le sette armonie nella musica. Goethe cerca di identificare e definire le complessità contenute nelle transizioni di sei colori attraverso la psicologia del colore. Mentre leggevo di più su Margaret Fuller, mi ha davvero affascinato scoprire che era responsabile della traduzione di molte delle opere di Goethe per l’intellighenzia del New England. Le sue traduzioni le aprirono le porte alla carriera di scrittrice e giornalista, cosa rara per una donna dell’800 in America. Personalmente tendo a presentare la mia pratica alle persone dicendo che coreografo la luce nell’immagine, nell’oggetto e nell’architettura per fare spazio alla meraviglia. La luce che danza nello spazio e nell’immagine è molto importante per me, perché attiva una particolare visione che si apre alla scoperta. La luce è il mio mezzo, mi permette di aprire più scale di pensiero. La citazione di Frank Wilczek sul retro del mio libro recita “Tu, come umano, non sei altro che particelle e luce. E tu, come umano, sei pensiero e sentimento. Due mondi diversi che sono difficili da comprendere nella simultaneità”.
A.R.: Il titolo della mostra “By Her Own Movement” (“con il suo stesso movimento”) deriva da un saggio di critica femminista della scrittrice e teorica Hélène Cixous intitolato “La risata di Medusa” (1975), secondo il quale la donna si trova di fronte a una scelta: rimanere intrappolata nel proprio corpo da un linguaggio precostituito e fallogocentrico (per citare i filosofi Jacques Derrida e Luce Irigary che hanno portato gli studi femministi su un ulteriore livello) che non le permette di esprimersi, oppure decidere di utilizzare il proprio movimento e il proprio corpo come un nuovo mezzo di comunicazione espressiva. Puoi descrivere meglio il tuo rapporto con la teoria femminista e quali sono le relazioni tra il pensiero di Cixous, la figura di Maria Agnesi e la tua pratica artistica in relazione alla volontà di dare vita (attraverso questa mostra) a una sorta di nuovo immaginario visivo post-patriarcale?
S.T.: Il mio rapporto con la teoria femminista è continuo. A questo proposito vorrei prendere in considerazione alcune citazioni tratte proprio dal saggio “Laugh of the Medusa” di Cixous, che inizia così:
«Parlerò della scrittura delle donne: di quello che farà. La donna deve scrivere se stessa: deve scrivere delle donne e portare le donne alla scrittura, dalla quale sono state cacciate con la stessa violenza con la quale sono state cacciare dal loro corpo – per le stesse ragioni, per la stessa legge, con lo stesso obiettivo fatale. La donna deve mettersi nel testo – come nel mondo e nella storia – con il suo stesso movimento.» H.C. Cixous non scrive del dolore di Medusa ma del suo riso, della sua gioia incarnata. Le donne devono scrivere di loro stesse fuori dal pensiero patriarcale attraverso il loro stesso movimento. Ma come è possibile farlo? Con la conoscenza contenuta nei nostri corpi.
Nel video presente in mostra dal titolo “Tethered to you”, lo spettatore vede le mie mani impegnate a eseguire un trucco “magico” dove un taglio Moebius (in matematica e in topologia, il nastro di Möbius è un esempio di superficie non orientabile) viene raddoppiato così da creare due cerchi interconnessi. L’audio di questo pezzo è inizialmente il canto degli uccelli fuori dalla finestra del mio studio, ma presto passa al pianto di mio figlio che si sveglia dal suo pisolino. Questo video è stato fatto 10 anni fa ma solo pochi mesi fa, riascoltandolo, ho sentito un dolore al petto sentendo il suo pianto. Questo mi ha portata a pensare a come i nostri corpi contengano così tanta conoscenza e memoria, che si esprime anche a distanza di mesi o anni. La mia esperienza di madre, di figlia, di sorella sta dentro a ogni gesto di questa mostra.
«Scrivo questo come donna, verso le donne… Ma prima bisogna dire che, nonostante l’enormità della repressione che le ha tenute nel “buio” – quel buio che si è cercato di far loro accettare come attributo – non esiste, in questo momento, una donna genera- le, una donna tipica. Ma ciò che mi colpisce è l’infinita ricchezza delle loro costituzioni individuali: non si può parlare di una sessualità femminile uniforme, omogenea, classificabile in codici, così come non si può parlare di un inconscio che assomigli ad un altro. L’immaginario femminile è inesauribile, come la musica, la pittura, la scrittura.» H.C.
Questo rifiuto di una nozione di donna universale è davvero potente.
È significativo ricordare che le donne che cito nel mio libro sono donne bianche europee o americane. Mentre mi informavo e studiavo di loro mi sono dovuta muovere in una ricerca intorno agli uomini che il canone occidentale pone in primo piano rispetto a tali figure femminili – Margaret Fuller ruota intorno a Buckminster Fuller, Lucia Moholy a Lazlo Moholy Nagy e Maria Nordman intorno a Robert Irwin (erroneamente classificato come artista della luce e dello spazio) -. Il testo femminista che mi ha più commosso è stato quello di Hélène Cixous, una donna e scrittrice francese algerina che ha scritto di donne e che si rivolge direttamente alle donne in una società patriarcale. bell hooks (pseudonimo di Gloria Jean Watkins scrittrice, attivista e femminista statunitense recentemente scomparsa), Audre Lorde (poetessa e scrittrice statunitense) e Adrian Piper (artista concettuale e filosofa kantiana), sono altri tre esempi di donne intellettuali dalle quali vengo costantemente ispirata, grazie alla loro scrittura sulle donne così ampia e complessa. Personalmente sto ancora cercando di individuare la mia posizione all’interno di questa sfera di autrici femministe.
«Ho desiderato che quella donna scrivesse e proclamasse questo impero unico in modo che altre donne, altre sovrane non riconosciute, potessero esclamare: anch’io trabocco» H.C.
Questo è esattamente quello che ho provato leggendo e rileggendo questo testo. Le donne liberate e dotate di potere danno potere ad altre donne. Questo è qualcosa che spero di fare attraverso il mio lavoro. Per costruire futuri post patriarcali ci vorrà tutta la nostra immaginazione collettiva, imparando le une dalle altre attraverso un’evoluzione di forme, di luce e di spazio. Le donne devono scrivere un nuovo presente attraverso i loro corpi, devono in- ventare un linguaggio inespugnabile che distruggerà divisioni, classi e retoriche, regolamenti e codici precostituiti.
Il mio libro “You will find it where it is: a reader”, contiene molte delle domande fondamentali che mi pongo ogni giorno, per questo l’ho usato e lo continuo a usa per dare vita a nuove installazioni, a nuovi modi di risolvere questi quesiti come è accaduto anche qui in Fonderia 20.9.
È stata una gioia lavorare con tutti voi. Vi ringrazio per aver condiviso il vostro spazio con me.